Referendum del 12 giugno
Il 12 giugno si potranno votare i cinque referendum abrogativi in materia di giustizia, promossi dal Partito Radicale e dalla Lega. Il tema è importante, il sistema giustizia in Italia è in condizioni penose, eppure l’argomento è stato regalato ai margini del dibattito pubblico. È evidente che una riforma organica e coerente dell’intero settore, richieda modifiche costituzionali e un notevole lavoro parlamentare e la riforma promossa dalla Ministra Cartabia non affronta alcune questioni dirimenti. Da questa prospettiva, i referendum potrebbero essere un utile strumento di pressione.
- Riforma del CSM
Il CSM, Consiglio Superiore della Magistratura è l’organo di autogoverno dei magistrati il cui funzionamento è disciplinato dalla Legge 195 del 24 marzo 1958 e che si occupa di tutte le questioni giurisdizionali (assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni, applicazione di sanzioni disciplinari) oltre ad assicurare l’indipendenza e l’autonomia della categoria come prescritto dagli articoli 101 e 110 della Costituzione. È presieduto dal Presidente della Repubblica che è membro di diritto al pari del Presidente della Suprema Corte di Cassazione e del Procuratore Generale presso la stessa Corte. Gli altri 24 componenti sono eletti per due terzi dai magistrati, scelti tra gli stessi, mentre il restante terzo viene scelto dal Parlamento in seduta comune. Il quesito propone di eliminare l’attuale obbligo per il magistrato che voglia candidarsi a far parte del CSM di raccogliere dalle 25 alle 50 firme a sostegno della propria candidatura. L’obiettivo dei promotori è quello di ritornare alla spirito originario della legge del 1958 e provare a ridurre il potere delle correnti che hanno assunto la forma di gruppi di potere che alterano la funzione del CSM. Come è stato sottolineato in proposito, “è da non pochi anni che le cosiddette correnti sono andate smarrendo la capacità di riflessione ed elaborazione culturale, scadendo sempre più a strutture e macchine di potere preposte alla spartizione dei posti e allo scambio clientelare”. (Giovanni Fiandaca)
Naturalmente non ci si illuda che con l’eliminazione del limite delle firme, spariscano gli abusi del cosiddetto “correntismo” ma quantomeno potrà consentire al magistrato di proporsi liberamente senza dover cercare necessariamente il supporto di apparati organizzati.
- Equa valutazione dei magistrati
Il procedimento di valutazione dei magistrati è disciplinato da D.lgs. 160/2006 e da alcune circolari. Avviene con cadenza quadriennale, ha per oggetto criteri come l’indipendenza, l’imparzialità, la diligenza, l’impegno e viene svolta dal CSM sulla base di un parere motivato ma non vincolante del Consiglio giudiziario del Distretto in cui il magistrato presta servizio.
Questo organo di valutazione è composto per due terzi da magistrati e per un terzo da una componente “laica” formata da avvocati e professori universitari in materie giuridiche. Quest’ultima componente è esclusa dalle discussioni e valutazioni che attengono alle competenze dei magistrati.
Come per il primo quesito, anche in questo caso, i promotori segnalano il rischio che il giudizio sul singolo magistrato sia alterato da logiche corporative e troppo spesso poco attendibili, secondo una logica puramente interna. L’obiettivo del referendum è di abrogare quelle norme che limitano l’apporto dei componenti laici nella valutazione per ottenere un migliore equilibrio ed evitare una deriva autoreferenziale, già concreta, soprattutto con valutazioni superficiali, tutte uguali con promozioni e scatti di carriera diventati pratica automatica.
- Separazione delle carriere sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti.
È l’argomento più dibattuto in Italia, quello che provoca più scontri e tensioni: l’opportunità o meno di separare le funzioni in magistratura con la previsione di carriere distinte. Il quesito è molto lungo e riguarda l’abrogazione delle numerose disposizioni che danno la possibilità ai magistrati di passare dalla funzione requirente alla funzione giudicante, o viceversa.
La funzione requirente è quella del pubblico ministero, nel processo è il magistrato che rappresenta l’accusa. La funzione giudicante è quella del giudice chiamato a valutare sulla base delle evidenze processuali come soggetto super partes.
Oggi i magistrati, nel corso della loro vita professionale, possono passare da una funzione all’altra con delle limitazioni e non più di quattro volte. Se vincesse il “sì” si separerebbero nettamente le due funzioni: a inizio carriera il magistrato dovrebbe scegliere o per la funzione giudicante o per quella requirente, senza più la possibilità di passare dall’una all’altra. Le ragioni a sostegno del referendum sono una maggiore equità e indipendenza che sarebbe garantita solo, dicono i promotori, da una netta separazione tra i magistrati che accusano e quelli giudicano, in tal modo, si eliminerebbero i condizionamenti che rischiano di corrompere la “terzietà del giudice”.
- Modifiche all’applicazione delle misure cautelari
La custodia cautelare è la custodia preventiva (cioè una limitazione della libertà) a cui un imputato può essere sottoposto prima della sentenza. L’ articolo 274 del codice di procedura penale elenca i casi che giustificano l’applicazione delle misure cautelari: pericolo di fuga, inquinamento delle prove, o quando sussiste il concreto e attuale pericolo che la persona «commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede». Quando c’è il pericolo di reiterazione dello stesso delitto.
Se vincesse il “sì”, verrebbe eliminata l’ultima parte dell’articolo 274 del codice di procedura penale, e cioè la possibilità, per i reati meno gravi, di motivare una misura cautelare con il pericolo di reiterazione che, dicono i promotori, è la motivazione che viene oggi usata con maggiore frequenza per imporre prima di una sentenza definitiva una limitazione della libertà personale.
I promotori sostengono che la custodia cautelare, da strumento di emergenza, si sia trasformato in una pratica abusata e che l’attuale norma, nella pratica, giustifichi quasi in automatico forme di restrizione della libertà anche in casi in cui l’imputato non è effettivamente pericoloso. Chi è contrario alla modifica non nega che in Italia si faccia un ricorso frequente alla custodia cautelare, ma fa notare che l’articolo 274 stabilisce già dei limiti all’applicazione delle misure cautelari.
- Abolizione della legge 190/2012 (legge Severino)
Il decreto legislativo che il referendum vuole abrogare sancisce il divieto di ricoprire incarichi di governo, l’incandidabilità o l’ineleggibilità alle elezioni politiche o amministrative, e la conseguente decadenza da tali cariche, per coloro che vengono condannati in via definitiva per determinati reati, anche se commessi prima dell’entrata in vigore del decreto stesso. In questo senso la norma ha introdotto un principio retroattivo anomalo in materia penale.
Inoltre, la legge stabilisce dei criteri anche per quanto riguarda l’incandidabilità alle cariche elettive regionali o negli enti locali. Prevede, infine, in caso di condanna non definitiva, la sospensione dalla carica in via automatica per un periodo massimo di 18 mesi, cosa che è stata di recente giudicata legittima dalla Corte costituzionale.
In caso di vittoria del “sì” anche ai condannati in via definitiva verrà concesso di candidarsi o di continuare il proprio mandato e verrà cancellato il meccanismo automatico della sospensione in caso di condanna non definitiva. Come succedeva fino al 2012, prima dell’entrata in vigore del decreto Severino, torneranno a essere i giudici a decidere, caso per caso, laddove vi fosse una condanna se sia opportuno applicare o meno come pena accessoria anche l’interdizione dai pubblici uffici. I promotori del referendum sostengono che i meccanismi dell’attuale normativa, in particolare l’automaticità della sospensione in caso di condanna non definitiva, siano non solo inefficaci, ma anche dannosi per le persone coinvolte: sostengono, nello specifico, che la decadenza automatica degli amministratori abbia spesso creato di “vuoti di potere” soprattutto dopo la reintegrazione dei soggetti dichiarati innocenti.
Chi si oppone all’abrogazione sostiene che le motivazioni con cui questo quesito referendario viene presentato si concentrano molto sulla necessità di evitare la sospensione automatica di sindaci e amministratori locali condannati con sentenza non definitiva. Ma il quesito non riguarda l’abolizione di questi singoli aspetti, ma l’abrogazione integrale del decreto Severino, che rappresenta uno dei più ampi interventi normativi di contrasto alla corruzione degli ultimi anni, anche se molti giuristi contestano che la legge abbia apportato una svolta significativa in materia di lotta ai fenomeni di corruzione.