Le janare di Benevento: la verità storica alla base della leggenda
Anno del Signore 570, Benevento. Anzi Ducato Longobardo di Benevento.
Non è trascorso più di un anno da quando i Longobardi hanno iniziato la loro discesa conquistatrice in Italia guidati da Alboino, che il condottiero Zottone insediatosi in una parte del Meridione d’Italia ha fondato un ducato con capitale la città sannita.
Si sono formalmente convertiti al Cristianesimo, mossa più politica che di reale devozione religiosa, per mantenere buoni rapporti con la popolazione della Penisola nei territori da loro conquistati (ricordiamo che, pur essendo vincitori, erano comunque in numero decisamente minore rispetto ai vinti) e soprattutto per non fornire pretesti “evangelizzatori”a Bisanzio, sempre pronta a tentare di riconquistare l’Italia nel vano tentativo di dare nuovamente vita a un impero romano anche in Occidente.
Ma nonostante tutto i preesistenti culti pagani continuavano a proliferare tra la popolazione longobarda, un culto in particolare, che riguarda da vicino la città di Benevento e tutta la sua storia e il suo patrimonio leggendario che ha segnato il centro in età medievale e moderna.
Parliamo del culto della vipera a due teste: i migliori guerrieri del ducato periodicamente si riunivano intorno ad un albero di noce lungo le rive del fiume Sabato e in presenza di questo simulacro d’oro gareggiavano in un rituale molto particolare, quasi un torneo, infatti veniva appesa all’albero una pelle o una carcassa d’animale e i contendenti dovevano strapparne un pezzo con la lancia o la spada mentre galoppavano velocemente e mangiarlo crudo.
L’adorazione di un idolo in forma di serpente non era nuovo nella città di Benevento, infatti in età domizianea era stato introdotto dall’imperatore il culto della dea egizia Iside, di cui ci rimangono notevoli testimonianze scritte, ma soprattutto archeologiche, con numerose statue provenienti dall’Iseo probabilmente da localizzarsi nei pressi del convento di Sant’Agostino, e uno dei simboli pertinenti a questa divinità è proprio la vipera, o comunque il serpente.
Inoltre è molto probabile che ancora in età preromana nei boschi o nelle campagne beneventane si praticassero dei culti misterici dedicati alla dea delle selve e della notte Jana, che poi in epoca romana è stata associata a Diana, con connotati tanto positivi, quanto negativi e malefici: questi rituali erano praticati di notte e avevano una forte connotazione magica, che con molta facilità può essere stata assorbita e fusa nel culto esoterico di Iside.
Insomma possiamo affermare che quando i longobardi giunsero in riva ai fiumi Sabato e Calore trovarono sicuramente un terreno fertile ai loro ancestrali rituali pagani, che bene si conciliavano con queste preesistenze cultuali.
Questo rappresentava un problema per la religione Cristiana, contraria ad ogni forma di idolatria e tesa, soprattutto in quegli anni difficili, ad una opera evangelizzatrice di grande portata, dato che vedeva minata la sua stabilità da queste forme di spiritualità che rischiavano di avere grande presa sugli strati anche bassi della popolazione.
In questo contesto si inserisce l’opera di proselitismo di un grande santo beneventano, San Barbato.
Nato nei primi anni del 600 d.C, molto probabilmente a Castelvenere: cominciò la sua attività pastorale a Morcone, da cui fu costretto ad allontanarsi, pare per calunnie mosse nei suoi confronti. Intorno al 660 era però a Benevento, governata dal duca Grimoaldo.
Cominciò subito la sua battaglia per convertire definitivamente al cristianesimo i longobardi, ma con scarso successo.
Almeno fino al 662.
In quell’anno Grimoaldo partì per Pavia, dove si stava svolgendo una lotta per il trono di quel ducato del nord Italia e lasciò il trono beneventano al figlio Romualdo.
L’anno successivo l’imperatore bizantino Costante II decise di muovere guerra in Italia, per mettere fine al dominio longobardo. Per fare ciò aveva bisogno di un alleato che tenesse occupati i longobardi del nord della Penisola, mentre lui avrebbe attaccato il ducato meridionale di Benevento, e lo trovò nei Franchi. Costante sbarcò a Taranto e iniziò la sua avanzata nel ducato di Benevento, trovando poca resistenza: i successi militari del sovrano bizantino indussero Romualdo a chiedere l’aiuto di suo padre, che però, fino a quando non avesse sconfitto i Franchi, non avrebbe potuto intervenire al fianco del figlio.
Un’occasione migliore non poteva presentarsi a Barbato. Approfittando della precarietà della situazione militare del duca longobardo, propose un patto sacro a Romualdo: se questi avesse accettato di convertirsi insieme al suo popolo alla religione cristiana, il futuro vescovo avrebbe pregato e chiesto intercessione divina in quella battaglia che si presentava impari.
Romualdo forse non accettò subito il patto, ma, si narra nella Vita Barbati Episcopi Beneventani un testo anonimo di IX-X secolo, che durante la battaglia definitiva la Madonna apparve al giovane duca che, anche grazie all’aiuto militare del padre che riuscì a giungere in suo soccorso, sconfisse Costante II e accettò di convertirsi al Cristianesimo.
Barbato aveva compiuto la sua missione e nello stesso anno fu eletto per acclamazione popolare vescovo della diocesi di Benevento, che provvide subito a riorganizzare dopo quasi un secolo di disordine dovuto al dominio longobardo.
Ma prima ancora si recò con il sovrano lungo il fiume Sabato e abbatté il famoso noce ove si tenevano i rituali pagani e in suo luogo fece erigere la Chiesa di Santa Maria in Voto, in onore della Madonna che aveva propiziato la vittoria.
Romualdo invece donò al vescovo il simulacro aureo che rappresentava la vipera a due teste perché fosse fuso per ottenerne un calice e altre suppellettili per la chiesa.
Barbato fu vescovo per 19 anni, partecipò al concilio romano indetto da Sant’Agatone papa nel 680 e morì nel 682.
Ma quegli antichi culti pagani non erano stati definitivamente estirpati e la loro carica misterica non era sopita.
Infatti pochi anni dopo e per tutta l’età medievale, secondo le leggende, ma anche secondo fonti letterarie autorevoli, si narra che periodicamente delle donne si riunissero intorno a un albero di noce, forse lo stesso abbattuto da Barbato e magicamente rinato nello stesso posto, lungo le rive del Sabato, in un luogo chiamato Ripa delle Janare, per dei rituali di stregoneria, i sabba, che in molti aspetti erano debitori di quelle antiche pratiche religiose e anche il nome con cui erano conosciute le streghe, janare, può avere origine da quello delle sacerdotesse di Jana/Diana. Il luogo preciso dei malefici consessi non si conosce con precisione; nei secoli sono state avanzate varie ipotesi circa l’ubicazione, ma non si può dire di avere una documentazione concorde, che ha condotto sempre le ricerche e le indagini a non identificarlo.
Benevento divenne la città delle streghe, che da ogni parte d’Europa volavano nei cieli notturni per trovarsi all’ombra del noce; e a nulla valsero i processi di stregoneria (purtroppo non si ha notazione precisa per la distruzione di considerevoli parti dell’archivio arcivescovile di Benevento sia nel 1860 che durante il secondo conflitto mondiale, ma pare che ammontassero a circa 200), le persecuzioni e i periodici abbattimenti del noce, perché i sabba continuavano a tenersi e l’albero continuava ricrescere per gli influssi della magia nera delle janare.
I cieli d’Europa continuavano a risuonare della malefica formula magica che le streghe usavano per propiziare i loro incontri:
“unguento unguento,
mandame alla noce di Benevento,
supra acqua et supra vento,
et supra ad omne maltempo”.
Ciò pare sia durato non solo per tutto il medioevo ma anche nei secoli a venire.
E non c’è da stupirsi se qualcuno, vuoi per suggestione, vuoi per chissà quale altro motivo, è disposto a giurare di vedere ancora, nelle notti tempestose e senza luna, donne invasate che danzano il loro sabba lungo le rive del Sabato, precisamente alla Ripa delle Janare.
Carmine De Mizio