Il significato ancestrale del Natale
Le feste natalizie sono costellate di cerimonie e usanze di cui non tutti conoscono il significato ancestrale. Alcune di esse derivano da tradizioni pagane, riprese e “rettificate” dal Cristianesimo. Questa commistione di usanze è dovuta alla collocazione del Natale nel calendario che storica-mente è sbagliata. Nel vangelo di Luca si narra soltanto che nel periodo in cui nacque Gesù c’erano a Betlemme dei pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al gregge. Siccome sappiamo che i pastori ebrei partivano per i pascoli all’inizio della primavera, in occasione della loro Pasqua, e tornavano in autunno, è evidente che Gesù nacque tra la fine di marzo e il primo autunno; tant’è vero che fino alla fine del III secolo il Natale veniva festeggiato, secondo i luoghi, in date differenti: il 28 marzo, il 18 aprile o il 29 maggio.
Papa Giulio I nel 337 d.C. stabilì la ricorrenza della Natività il 25 dicembre, perché nella stessa data i Romani già festeggiavano il Dies natalis Solis invicti, istituito nel 270 all’imperatore Aureliano per celebrare il culto del Sole Invitto. Per questo motivo, la Chiesa romana, fece coincidere la festa della nascita di Cristo con quella data per contrastare per facilitare l’assorbimento del cristianesimo a livello popolare. Inoltre, il 25 dicembre è in stretto rapporto con il solstizio d’inverno e quindi con l’allungarsi delle giornate, dunque con la rinascita del Sole. A tal proposito Tertulliano riporta che: «… molti ritengono che il Dio cristiano sia il Sole perché è un fatto noto che noi preghiamo rivolti verso il Sole sorgente e che nel Giorno del Sole ci diamo alla gioia» (Tertulliano, Ad nationes, apologeticum, de testimonio animae). C’è inoltre chi afferma che la festività del Natale sia strettamente connessa alla tradizione della festa ebraica della luce, la Hanukkah. Del resto Cristo per la liturgia è il Sol Justitiae e il vangelo di Giovanni lo presenta come «la vera luce che illumina ogni uomo».
Betlemme e la grotta
Nella narrazione della nascita di Cristo, sono presenti due luoghi fisici: la città di Betlmenne e la grotta. Il nome in lingua ebraica di Betlemme è Beith-Lehem, la “casa del pane”, da qui le parole riportate nel vangelo di Giovanni: “lo sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più lame e chi crede in me non avrà più sete; io sono il pane della vita”.
Il Vangelo di Luca riferisce che dopo la sua nascita il piccolo venne deposto “in una mangiatoia”, senza citare l’edificio, mentre Matteo riporta il termine casa. Il riferimento alla grotta è citato dall’apologeta cristiano Giustino che nel suo Dialogo con Trifone dove racconta che la Sacra Famiglia era rifugiata in una grotta al di fuori della città di Betlemme. Origene di Alessandria, nel 247 d.C., scrive di una grotta nella città di Betlemme ritenuta dalla popolazione locale quale luogo di nascita di Gesù. Il significato simbolico della grotta attiene sempre ai concetti di nascita e ri-nascita, presenti in altre tradizioni religiose ed esoteriche. Nei Veda induisti, nella piccola camera del cuore ha sede l’Atman, il Principio cosmico. Lao-Tze, il saggio cinese fondatore del Taoismo nacque in una grotta, mentre nella letteratura alchemica si fa spesso riferimento al ventre della terra, dove si trovano gli elementi per trasformare il proprio Sé. Un testo di epoca paleocristiana, chiamato La caverna del tesoro o Il libro cristiano di Adamo dell’Occidente, fa iniziare la propria narrazione proprio nella caverna in cui venne sepolto il progenitore Adamo, e racconta di come Noé sopravvissuto al diluvio, ordinò a suo figlio Sem di andare a prendere dalla grotta le ossa del primo uomo e di seppellirle nuovamente al centro della Terra.
L’Albero
Uno dei simboli del Natale è l’albero, in genere un abete. Questa tradizione, ha origine nell’Europa settentrionale dove i cristiani hanno collegato alla figura di Cristo il simbolo arboreo. Anche in questo caso, l’origine va ricercata nell’antico paganesimo di quelle terre (ma anche di altre tradizioni), nella nozione di Axis mundi, l’asse cosmico che ha la funzione di connettere Cielo, Terra e Inferi che nella mitologia norrena è rappresentato dall’albero sacro Yggdrasill. Lo storico delle religioni Mircea Eliade ha evidenziato come l’immagine dell’albero sia presente nella mitologia assiro-babilonese quando si parla di un “albero cosmico” radicato in Eridu, la “Casa della Sapienza”. Non è da escludere l’ipotesi che l’Albero di Natale stia a simboleggiare il Cristo, inteso come Albero cosmico, che dà vita all’Universo intero: del resto, fu proprio Cristo a paragonare la sua persona ad un albero, la vite nella fattispecie: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv15,5).
Persino gli addobbi dell’albero si possono interpretare cristianamente: i lumini simboleggiano la Luce che Cristo dispensa all’umanità, i frutti dorati insieme con i regali e i dolciumi appesi ai suoi rami o raccolti ai suoi piedi sono rispettivamente il simbolo della Vita spirituale e dell’Amore.
Nella Roma antica, molto prima dell’avvento del Cristianesimo, durante il periodo del Solstizio d’inverno si festeggiavano i Saturnali. In questo periodo si scambiavano doni e si decoravano gli alberi, con l’auspicio che il gesto producesse frutti abbondanti. Anche i Celti festeggiavano il Solstizio d’Inverno e consideravano l’abete sacro. Fu proprio ai piedi di un albero – per la precisione un fico sacro – che il principe Siddharta Gautama ottenne l’illuminazione, divenendo il Buddha. Anche nell’ermetismo l’emblema dell’albero è ricorrente, in questi casi sta a simboleggiare il Mercurio dei Filosofi. Nella bibbia c’è l’Albero del Bene e del Male dell’Eden e nella Cabala ebraica l’Albero delle Sephiroth.
I Magi
Sulla scena del Natale compaiono anche i Magi. Le Sacre Scritture ci forniscono poche informazioni in merito, solo il Vangelo di Matteo il più antico dei quattro ufficiali, scritto in aramaico intorno al 64 d.C. li cita, sebbene da questa fonte non si possa apprendere granché sul loro conto: né i nomi, né il numero, né tantomeno il luogo di provenienza, che è indicato con un generico “da Oriente”. Eppure abbiamo molte informazioni più di quello che possiamo ricavare dalle Sacre Scritture. Le fonti da cui desumiamo alcune di queste importanti informazioni sono in realtà alcuni testi apocrifi i Magi sono considerati dalla tradizione cristiana come la “primitia gentium”, i primi pagani ad aver riconosciuto e adorato il Signore. Ciò pone la vicenda dei Magi come punto di incontro tra monoteismo e tradizioni pagane. I “tre” Magi con i loro “tre” doni sono stati identificati come allegoria dei tre regni o mondi aristotelici: fisico, parafisico e metafisico, o delle tre caste del mondo tradizionale (quella sacerdotale, quella guerriera, e quella dei produttori).
Lo scrittore René Guenon assimila la figura dei Magi al mito dei tre capi dell’Agartha, centro spirituale del mondo: il Mahangha, il Mahatma e il Brahatma. Nello specifico: «Il Mahanga offre a Cristo l’oro e lo saluta come “Re”; il Mahatma gli offre l’incenso e lo saluta come “Sacerdote”; il Brahatma, infine gli offre la mirra (cioè il balsamo di incorruttibilità, immagine dell’Amrità e lo saluta come “Profeta” o Maestro spirituale per eccellenza.
Markus