E’ urgente un commissario per la Salute Mentale
In questi giorni si è riaccesa sulla stampa la polemica sulle cause della morte di Paolo Pettorossi volato giù da una finestra del Rummo dopo un mese di degenza nel Servizio Psichiatrico del Rummo (SPDC).
Una polemica sollevata in maniera pretestuosa, ma fondata su un dato oggettivo: l’inaccettabile organizzazione a Benevento dei Servizi di Salute Mentale denunciata in un recente documento in cui circa 70 fra dirigenti medici e infermieri chiedono di commissariare il Dipartimento di Salute Mentale (DSM).
Richiesta fatta in passato dalla Rete Sociale e oggi ripresa anche da associazioni di Volontariato come la Caritas, perché diventata urgente.
Quanto sta accadendo, infatti, è la conseguenza di un disastro annunciato 13 anni fa cui non si volle porre rimedio: quando, cioè, sia la commissione d’inchiesta “sull’attività del SPDC” (istituita con delibera Asl 75/2003), sia il Servizio Ispettivo regionale “Sul funzionamento del DSM” nel 2004 denunciarono una situazione allarmante. La morte di alcuni pazienti ed altri “incidenti” gravissimi, infatti, erano la spia di un’organizzazione dei Servizi del DSM ai limiti di legge, caratterizzata da scarso rispetto delle normative e da tutta una serie di pesanti disservizi che gli ispettori imputarono ai “gravi comportamenti omissivi…” dei vertici di ASL, DSM e SPDC.
Nessun intervento risolutivo sembra sia stato attuato: per cui inadempienze e disservizi sono continuati, come si evince dalle istanze del personale del DSM. E oggi la morte di Paolo Pettorossi è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ed è la conferma che laddove esistono ancora SPDC “a porte chiuse” dove viene limitata la libertà personale per motivi organizzativi – come a Benevento – questi sono solo la spia di un’inefficienza che incide su tutta la filiera dei servizi per la Salute Mentale.
Con quale conseguenza? La difficoltà di garantire il diritto alla cura sancito dalla “legge 180” sulla chiusura dei manicomi.
I matti, infatti, erano rinchiusi nei manicomi non per essere curati, ma solo per evitare oltraggi al pudore e rischi di pericolosità sociale: di conseguenza, tutti i mezzi erano “leciti” pur di ridurre il matto all’impotenza, comprese porte chiuse, camice di forza, contenzione e elettroshock.
Ma la legge 180 bandisce questa organizzazione per “ergastolani della follìa”, dimostrando la “curabilità” della malattia mentale e indicando anche i luoghi e gli strumenti (oltre ai farmaci) adatti alla cura: luoghi “aperti”, sul territorio, basati sull’accoglienza e la cura della sofferenza all’interno della comunità di appartenenza.
Cioè, i Centri o Servizi di Salute Mentale territoriale, che tutta la legislazione successiva alla “Basaglia” ha confermato essere la terapia più efficace ed economicamente sostenibile per supportare le persone con disturbo psichico: a condizione, però, che siano organizzati per funzionare 24 ore su 24; che si raccordino con i servizi sociosanitari; e che si avvalgano della collaborazione di familiari, servizi sociali e volontariato per creare una “rete” capace di prevenire e superare tutte le fasi della malattia, compresi i momenti di crisi. Il ricovero in SPDC, dunque, rappresenta solo l’estrema ratio: e comunque, in un SPDC a “porte aperte”.
Che cosa significa, allora, tutto questo, rispetto al caso Pettorossi e alla richiesta di commissariamento del DSM? Significa che – al di là di quanto accaduto fra le mura ospedaliere su cui indaga la magistratura – Paolo Pettorossi in quel SPDC a porte chiuse non sarebbe MAI DOVUTO ENTRARE: perchè avrebbe dovuto trovare un servizio “H24” adatto a rispondere al suo bisogno, dove la “rete” di personale e volontari lo avrebbe aiutato a superare il momento di crisi, senza interromperne il progetto riabilitativo.
Ma come mai oggi a Benevento manca un ”H24”?
In realtà l’attuale sede del Dsm fu affittata a ben 200.000 euro all’anno per ottimizzare i servizi di Salute Mentale – fra i quali c’era l’”H24” – e per consentire all’Asl, con “patto di futura vendita”, di diventare proprietaria dell’immobile. Risultato: oggi l’Asl continua a pagare l’oneroso affitto, mentre l’”H24” realizzato nel 2005 è stato chiuso nel 2006 trasferendone i posti in SPDC. A causa di questa organizzazione, oggi a Benevento, l’unica soluzione in momenti di crisi, è il ricovero in SPDC o in case di cura convenzionate, spesso ricettacoli delle peggiori abitudini manicomiali: con le inevitabili conseguenze sulla cura dei pazienti e sulla spesa sanitaria.
Ecco perché riteniamo urgente, la richiesta formulata dai 70 medici e infermieri (anche del SPDC) “… di un profondo cambiamento nella gestione dipartimentale.. che tenga conto di tutte le realtà sul territorio e del SPDC con metodi innovativi, con contenuti di partecipazione, di confronto con gli stakeholders ed il terzo settore… per garantire che il DSM sia la “casa di tutti”, ponendosi come priorità compiti di servizio e non scopi di carriera, né mantenimento di posizioni acquisite o di “poltrone”.”
Serena Romano