Ospedale: la nostra solidarietà all’anziana signora che ha avuto il coraggio di sfogarsi
Ieri con un post ironico sui social e, avendo letto attentamente lo sfogo di una signora anziana al pronto soccorso cittadino, ho scritto:” Se dovessi stare male non mi portate al pronto soccorso, uccidetemi subito”:
Una provocazione? Sicuramente, ma anche la constatazione di un’amara realtà dove, ascoltando le persone, episodi di una gravità assoluta si moltiplicano a dismisura.
Tutto ciò è dovuto al covid? Sicuramente, ma ciò non toglie che si sta perdendo l’umanità che dovrebbe esserci in un posto che si dovrebbe definire ospedale.
E veniamo a un caso per far capire.
Sto male mi accompagnano al pronto soccorso.
Entro con un codice, verde rosso giallo blue indaco violetto, non è importante.
E mi mettono su una barella e poi in una stanza nel migliore dei casi. Nel peggiore rimango sulla barella e rimango nei corridoi in attesa di un posto.
Da solo.
Nessuno sa quando passeranno a visitarmi e se lo faranno. Vedi infermieri che vanno avanti e dietro, dottori esauriti dal superlavoro.
E intanto tu rimani li e i tuoi cari fuori.
Passa il tempo tu non sai niente. Quindi comunichi con il cellulare, in questo caso una benedizione, all’esterno che non sai nulla…tutti aspettano. Tu degente, i tuoi parenti fuori, gli infermieri che non sanno che dirti.
Hai fame? Hai sete? Devi aspettare qualche anima pia, oppure avere la forza di alzarti (ma se sto male e non riesco a muovermi? ) e andare a un distributore automatico.
Passa un medico, guarda la cartella, scrive degli esami e ripone la cartella.
“Dottore quando li devo fare questi esami?”. “Appena possibile!”
E intanto tu aspetti li. Posso mangiare? Posso bere? Visto che qualcuno è riuscito a portarmi qualcosa da mangiare e da bere? Boh, non ti dicono nulla. Devo fare una tac? Una risonanza? Guardo sulla cartella e i geroglifici non mi dicono nulla.
Ci sarà uno scienziato addetto che li tradurrà dall’aramaico antico.
“Infermiere mi sento male”, “Non si preoccupi è momentaneo adesso vedo di portarvi qualcosa per il dolore”.
Si giusto un po’ di acqua benedetta, forse.
Dopo 12 ore perdo la pazienza e inizio ad averne abbastanza e chiamo tutti quelli che mi passano davanti…tutti rispondono che tornano subito e non li rivedo più. Vedo facce nuove, avranno finito il turno quelli di prima, fermo qualcuno e spiego cosa mi è successo. Stessa cosa, torniamo subito.
Mi sento sempre peggio e oltre a fare le telefonate ai parenti all’esterno che non sanno cosa fare oltre che a cercare raccomandazioni per entrare almeno uno e venire ad accudirmi o almeno a starmi accanto.
Ma c’è il COVID non si può. Mascherine a gogo, gente sulle barelle che come me chiama, o perde la pazienza.
Gente anziana abbandonata senza assistenza, ma chi dovrebbe assisterla se non i suoi parenti? Che però non lasciano entrare.
Vabbè alla fine o muoio oppure riescono a salvarmi per miracolo (nel senso che un medico si ferma, si accerta quello che ho, mi da la cura o da le indicazioni agli infermieri e vengo salvato). Dopo 36 ore sia ben chiaro.
In pratica è una lotteria, macabra ma sempre lotteria.
Se ti capita qualcuno buono ti salvi, sennò hai voglia di morire, solo.
Sono solidale con l’anziana signora che si è sfogata in maniera civile contro questo andazzo in un pronto soccorso, in questo caso di Benevento, ma poteva essere di qualsiasi altra città.
E il racconto anche ironico fatto era solo per sottolineare un fatto di per se evidente: la sanità pubblica è al collasso, chi può scappa dagli ospedali (e parlo di dottori) per andare in posti più tranquilli ed efficienti. Gli infermieri fanno quello che possono, diventando nervosi loro e facendo innervosire anche i pazienti che qualche volta sclerano (comportamento da censurare naturalmente).
E l’ultima realtà è che si muore più facilmente di prima dentro gli ospedali e non per covid.
La politica dovrebbe riflettere su questo ultimo dato!