I fuochi della prima guerra mondiale si sono spenti da poco e a Parigi vivono la maggior parte degli animatori dell’arte più eversiva. Francis Picabia, Tristan Tzara, Max Ernst, Marcel Duchamp, Man Ray. È a loro che guardano con ammirazione due giovani intraprendenti, Andrè Breton e Philippe Soupault.
Siamo in pieno sviluppo di quella vita metropolitana, caratterizzata da una moltiplicazione esponenziale degli stimoli sull’individuo, ben compresa e descritta da Simmel, anni prima.
Il mondo dell’arte non resta immune. La fondazione della rivista Littérature, con il contributo decisivo di Louis Aragon, diventa il laboratorio attraverso il quale maturano le esperienze che porteranno al Surrealismo. All’inizio l’obiettivo è ancora quello di un’arte “totale” ovvero di un atteggiamento comune a tutte le discipline, dal teatro alla pittura, in grado di sminuire le singole tecniche e i relativi linguaggi in favore di una creatività legata all’umore dell’individuo che sceglie di volta in volta lo strumento per esprimersi.
La parola deriva da sur-réalisme, contenuta nel programma di sala di Parade, spettacolo di Guillaume Apollinaire, andato in scena il 17 maggio 1917 al teatro dello Chatelet.
Littérature promuove e organizza delle serate sull’esempio di quelle futuriste e del Cabaret Voltaire di Zurigo che diede origine al movimento Dada. Da lì parte tutto. Breton è prima una “dadaista” ma poi si distacca progressivamente perché vuole strutturare il movimento e i dadaisti rifiutano per principio questa idea. L’incontro e poi lo scontro con Tristan Tzara è decisivo per Breton. I due, insieme a Marinetti sono l’esempio tipico dell’uomo dell’avanguadia artistica: sradicato, deviante, ironicamente critico verso il sistema di valori della società.
Tra il 1920 e il 1925 succede di tutto: serate folli a teatro, conferenze, manifestazioni di disturbo all’interno di occasioni ufficiali (far notizia e balzare agli onori della cronaca è una strategia ispirata al Futurismo italiano), congressi programmatici, volantini e interventi provocatori su riviste, al limite dell’arroganza.
Di Dada, il nascente Surrealismo prosegue l’idea di voler essere un modo di vivere a agire radicale più che un orientamento creativo in senso stretto: di Dada rifiuta, come emerge dalla rottura tra Tzara e Breton che avviene nel 1922 tra roventi polemiche, il sottofondo troppo nichilista vagamente apocalittico.
Breton è affascinato dagli eventi della rivoluzione sovietica e scorge nell’arte un altro modo di intervenire nelle realtà sociale. Almeno fino al 1925, si trasforma nel custode di un rigorismo rivoluzionario e di una proclamata ortodossia surrealista che lo porterà a decretare molte scomuniche verso De Chirico, Artaud, Aragon e persino a Soupaul.
L’interesse preminente delle ricerche del primo Surrealismo è verso i linguaggi intesi come meccanismi in cui il senso, anziché essere manifestato, viene mistificato. Si riscoprono in questo ambito alcuni versi di Rimbaud, Ducasse e Roussel, in cui la chiarezza della forma lascia il posto al suono oscuro, al significato ambiguo delle parole, alla dissoluzione della struttura del discorso.
Si affrontano temi come la psicoanalisi, l’esoterismo, l’ipnosi, il sonno, tutte quelle situazioni di “sospensione della razionalità”, in cui si ritiene che l’individuo esprima la singolarità più autentica senza il filtro della consuetudine. Ancora, su un piano più legato alle modalità e alle tecniche del linguaggio, molta importanza si attribuisce al calembour, al paradosso verbale, allo humor.
Si legge nel “Manifesto del Surrealismo” redatto da Breton nel 1924: “Automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per iscritto o in altre maniere il funzionamento reale del pensiero, è il dettato del pensiero con l’assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, di là da ogni preoccupazione estetica e morale”.
La scrittura automatica viene descritta da Breton e Eluard nel Dictionnaire abrégé du surréalisme: “Gioco consistente nel far comporre una frase, o un disegno, da più persone senza che alcuna di esse possa tener conto della e delle collaborazioni precedenti (…)”
L’esempio classico di questa tecnica è il “cadavre exquis”, che da nome al gioco: “il cadavere squisito berrà il vino nuovo”. Sullo stesso livello, l’esperienza di Robert Desnos che nel 1922 compone una serie di aforismi e giochi verbali in condizione di sonno ipnotico.
Per quanto concerne le ricerche sull’arte in generale, la svolta avviene alla fine del 1924, con l’uscita del primo numero della rivista La Révolution Surréaliste e la creazione del Bureau central de recherches surréalistes, aperto l’undici ottobre 1924 al 15 rue de Grenelle, una specie di centrale ideologica del movimento. La rivista ha tra i suoi esponenti principali: éluard, Crevel, Artaud, Duchamp, Masson, Ernst e altri.
L’anno successivo Breton captando le mutazioni avvenute nella ricerca artistica, inizia a teorizzare il surrealismo nella pittura che prende forma in una mostra alla galleria “Pierre” con de Chirico, Klee, Ernst, Arp, Mirò, Picasso, Man Ray e Pierre Roy. In verità Breton si limita a registrare una tendenza artistica che si stava delineando in modo autonomo e cerca anche in questo caso di definire una serie di regole da osservare, ma il confine è sottile, come si può imbrigliare in un’ideologia una pittura legata a stati alterati della psiche, alla sospensione del razionale?
Da un lato come guardiano della “fede”, Breton può bollare come segno di compromissione mondana le scenografie di Ernst e Mirò per i Balletti Russi. Per altro verso, comincia un attività di proselitismo attraverso nomi come Mesens, Magritte, Dalì, Tanguy, Delvaux, per ottenere quel successo e quella diffusione del Surrealismo, com’era stato per il Futurismo negli anni precedenti. Il duro lavoro porta a risultati concreti: nel 1926 apre i battenti la Galerie Surréaliste, luogo di mostre e manifestazioni. Da quel momento il Surrealismo è una realtà riconosciuta e rispettata nel mondo dell’arte.
Sogno, zone oscure della coscienza, automatismo psichico, allucinazione, confusione di segni e parole. Tutti elementi che ritroviamo nelle opere surrealiste, soprattutto nelle arti visive dove una serie di deroghe alle regole classiche, trovano una pedissequa applicazione con eccessi al limite del kitsch.
È il caso di due surrealisti della prima ora, Ernst e Mirò. Il primo, già esponente del Dada tedesco, è artefice di collages con inserti oggettuali ed esperto del frottage, una tecnica di disegno e pittura, basata sullo sfregamento e già nota nell’antica Grecia. L’immaginario di Ernst è composto da visionarietà nordica, incline al mostruoso e all’angoscioso con riferimenti all’esoterismo rinascimentale. Mirò invece, utilizza una tecnica stilistica omogenea e classica, ma dipinge forme e segni riferiti a elementi primitivi, ricchi di colori per ottenere un effetto cromatico potente.
Proviene dal Dada anche Man Ray, che in questi anni prosegue la pratica dei “raygraphs”, basati sulla tecnica della stampa a contatto, con l’uso sapiente del fotomontaggio e delle solarizzazioni. Il tutto per dimostrare come la tecnica fotografica non si riduca alla semplice riproduzione di immagini catturate nella realtà visibile, ma possiede infinite possibilità. In quel periodo, Ray è attivo in una serie di sperimentazioni cinematografiche: nel 1923 realizza Retour à la raison, l’anno successivo partecipa con Duchamp, Picabia e Satie a Entr’acte di Renè Clair, nel 1926 sempre con Duchamp e Marc Allégret fa Anémic cinéma e poi realizza un’altra pellicola Emak Bakia. Nel 1929, lo stesso anno del Chien andalou, di Bunuel e Dalì, gira Les Mystéres du château de dé.
Tali sperimentazioni hanno tutte un solo filo conduttore: nulla vogliono né significare, né esprimere, rendendo omaggio al caso, all’assurdo, agli inciampi della ragione e del linguaggio. Caso a parte è quello di Salvador Dalì. Inviso agli altri esponenti del movimento per il suo esibizionismo e per la spasmodica ricerca di notorietà, egli è il teorico della “paranoia critica”, che definisce «metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull’associazione interpretativo-critica di fenomeni deliranti». Infatti tutte le immagini e le figure, sono forme che si agitano nell’inconscio dell’artista catalano che riproduce sulla tela ciò che l’irrazionale fa apparire e che Dalì chiama “paranoia”. Così si spiega il contesto onirico in cui si combinano figure simboliche e allusive.
Alla fine del decennio, l’irrequieto gruppo surrealista si sfalda definitivamente. La scelta di Breton di passare a una politicizzazione del movimento, che lo porterà a chiudere La Révolution Surréaliste e a pubblicare, tra il 1930 e il 1933, Le Surréalisme au service de la Révolution, allontana autori come Bataille, Limbour, Masson, Vitrac, più interessati a temi come l’antropologia e il sacro che affrontano nella rivista Documents. Nel 1933, poi, la rivista Minotaure, fondata dal Albert Skira, aggregherà il gruppo stretta-mente artistico: Tanguy, Dalì, Duchamp, Mirò, Arp, de Chirico, Bellner. Nel gennaio 1938 si tiene alla Galerie des Beaux-Arts di Georges Wildenstein, a Parigi, l’Exposition Internationale du Surréalisme, celebrazione del movimento proprio nella fase della sua crisi definitiva.
a cura di Felice Presta e Vincenzo Bovino