A Lisbona sulla riva del fiume Tago, di fronte al Monastero dos Jerónimos, si vede l’imponente Padrão dos Descobrimentos, il Monumento alle Scoperte che celebra tutti i navigatori portoghesi che tra il XV e XVI secolo scoprirono nuove terre e tracciarono le più importanti rotte commerciali contemporanee. L’enorme caravella di pietra è decorata su entrambi i lati da un gruppo scultoreo che rappresenta i protagonisti delle grande imprese marinare del Portogallo: navigatori, cartografi, colonizzatori, missionari, guerrieri, scrittori, re e regine. Tra questi non poteva mancare il nome di Vasco da Gama e di lui vogliamo raccontare, approdo dopo approdo, uno delle sue traversate memorabili alla ricerca di un regno leggendario.
Nel 1497 Manuele I, re del Portogallo, individua nel giovane comandante Vasco da Gama il navigare più preparato per completare il lavoro cominciato da Barlomeu Dias, che dieci anni prima aveva doppiato l’Africa meridionale, scoprendo finalmente il passaggio tra l’Oceano Atlantico e l’Indiano. In quel tempo i veneziani detenevano il monopolio del commercio delle spezie e la corte portoghese aveva intenzione di spezzare questo equilibrio, fonte della sterminata ricchezza e della potenza della Repubblica del Leone. La noce moscata, la cannella, il pepe, i chiodi di garofano sono beni preziosi come l’oro e bisogna organizzare una vasta operazione per accaparrarseli. Il nobile Vasco da Gama, nato 28 anni prima a Sines, nell’Alentejo, sembra al re portoghese l’uomo giusto e malgrado le perplessità del suo entourage, autorizza la preparazione di una spedizione per aprire nuove rotte commerciali, aggiungendo un elemento religioso con il desiderio di evangelizzare quelle terre lontane dove si pensava vi fosse il regno del misterioso Prete Gianni. Vasco da Gama ha due qualità: è un abile comandante e sa combattere, infatti cinque anni prima aveva catturato alcuni vascelli francesi che minacciavano il Portogallo.
8 luglio 1497. Le partenze dalla foce del Tago non sono una novità per gli abitanti di Lisbona. Quelle navi che salpano per terre lontane e sconosciute, sono uno spettacolo da non perdere: rulli di tamburi, tuoni di cannone, squilli di tromba e bandiere al vento. Quel giorno si preparano a solcare l’oceano anche le quattro unità al comando di Vasco da Gama. Sono la Sao Gabriel, un veliero da circa 150 tonnellate con le insegne dell’ammiraglio e sotto il suo comando; la Sao Rafael, più o meno della medesima stazza, affidata al fratello Paulo da Gama; assieme con loro salpano la più piccola caravella Berrio e una quarta unità ausiliaria, la nave delle salmiere, poco considerata a tal punto da essersi perso il nome. Non sono semplici vascelli, sono stati costruiti appositamente seguendo i suggerimenti di Bartolomeu Dias che conosce bene quali caratteristiche debbano avere le unità destinate ad andare oltre il Capo di Buona Speranza. Si imbarca anche lui per dare consigli e indicazioni, insieme a 170 uomini che formano l’equipaggio.
La navigazione procede tranquilla fino alle Canarie, dove una nebbia intensa fa disperdere la flottiglia che si ricongiunge all’altezza di Capo Verde. Dias torna indietro. Mentre da Gama vuole mostrare di potercela fare rischiando molto: niente navigazione sotto costa, come si usava in quel periodo, ma in pieno oceano, seimila miglia di mare e almeno tre mesi di navigazione senza vedere terra. Anzi, per sfruttare i venti favorevoli, il portoghese sceglie la rotta verso sud-ovest che lo allontana ulteriormente dall’Africa. Sarà il più lungo viaggio in mare aperto compiuto fino a quel momento.
4 novembre 1497. Dopo una virata, la spedizione lusitana sbarca in un punto della costa sudoccidentale del continente dove i marinai mangiano foche, balene, gazzelle e radici. L’incontro con la popolazione locale dapprima sembra pacifico, ma poi aumenta la tensione e cominciano gli scontri con l’equipaggio e lo stesso Vasco da Gama che resta leggermente ferito da una freccia. Il convoglio riprende il mare. Ormai l’Oceano Indiano è vicino e, superato capo Agulhas, la punta più meridionale dell’Africa, le navi abbandonano l’Atlantico.
16 dicembre 1497. Percorse un centinaio di miglia, le navi si avvicinano alla baia di Mossel, il punto estremo raggiunto dalla precedente spedizione di Dias. Da lì si aprono 800 miglia di mare inesplorato prima di raggiungere i porti musulmani dell’Africa, dove sarà possibile trovare piloti. L’ammiraglio ordina di prendere terra, la nave più piccola, viene bruciata e le provviste rimanenti sono trasferite a bordo delle tre unità. Il 25 dicembre Vasco da Gama decide di chiamare Natal quella regione australe; nome conservato ancora oggi dalla provincia sudafricana di KwaZulu-Natal. Le navi ripartono dopo tredici giorni di sosta, con i marinai che affrontano un altro incontro ostile con gli indigeni che alla loro partenza demoliscono la colonna che i portoghesi avevano innalzato in memoria dello sbarco. Meno tesa è la situazione sul fiume Limpopo, nell’attuale Mozambico, dove le popolazioni seppur armate, si comportano si dimostrano amichevoli.
22 febbraio 1498. I portoghesi hanno un primo contatto con un musulmano alla foce di un fiume e dopo qualche giorno approdano vicino all’odierna città di Nacala. Qui c’è un importante porto e cantiere arabo, dove finalmente trovano i carichi di spezie, pietre preziose e altre materie. I marinai arabi spiegano ai Portoghesi che il regno del Prete Gianni si trova all’interno, a soli quattro giorni di viaggio. Il sultano all’inizio pensa che i nuovi venuti siano dei fratelli musulmani e li tratta amichevolmente, poi quando si rende conto che non è così, comincia a trattarli con disprezzo e disdegna i doni ricevuti. Vorrebbe delle pezze di panno rosso che i lusitani dicono di non avere perché hanno deciso di regalare al re di Calicut. La fama del tessuto noto come “scarlatto di Venezia” è giunta fino alle propaggini estreme del mondo musulmano. A questo punto l’atmosfera si fa tesa e Vasco da Gama decide di riprendere la via del mare, ma i venti contrari costringono le navi a tornare da dove sono venute. La situazione precipita. Scesi a terra per fare scorte d’acqua, i portoghesi vengono aggrediti. In tutta fretta, imbarcano due piloti arabi, pratici di carte e bussole e si dirigono verso Mombasa. Lì stesso copione: accolti perché creduti musulmani, l’atteggiamento delle popolazioni locali cambia quando si rendono conto di avere a che fare con cristiani. Tentano addirittura di catturare le navi con un attacco notturno. Di nuovo in mare, direzione Malindi, dove basta un giorno di navigazione. La situazione cambia completamente, l’ambiente è rilassato, nella città keniota è possibile imbarcare frutta fresca, grano e ortaggi e, dopo aver ingaggiato un altro pilota, originario di Alessandria d’Egitto, si riparte.
24 aprile 1498. Le navi tolgono le ancore dall’Africa dirigendo le prue verso l’India. Dopo 23 giorni di navigazione le vedette nelle coffe scorgono le montagne: sono arrivati a destinazione. Il 20 maggio i Portoghesi ormeggiano a Calicut, ovvero l’odierna Kozhikode, sulla costa del Malabar, nella regione indiana del Kerala. È il principale porto delle spezie dove caricano i Veneziani. L’ammiraglio ricorda un aneddoto: due mercanti tunisini si rivolgono a quel gruppo di europei in genovese. Nel porto circolano monete d’oro arabe, ducati veneziani e genovini; si può bere il vino dolce di Creta e altre specialità provenienti da tutto il mondo.
Calicut viene descritta con meraviglia: decine di elefanti addomesticati vengono cavalcati e utilizzati persino per varare le navi. Il Re è fuori città, ma rientra non appena apprende dello sbarco degli Europei e manda a chiamare Vasco da Gama in attesa sulla nave. Questi sbarca con dodici uomini e un migliaio di persone li scortano fino al palazzo reale, dove vengono accolti dal sovrano in un ambiente di lusso e splendore. Ma quel che più conta agli occhi dei portoghesi è la zona portuale: sono agli ormeggi oltre cinquecento imbarcazioni e ogni anno arrivano fino a 1500 navi arabe che trasportano le spezie al Golfo Persico, dove poi vengono sbarcate per raggiungere con i cammelli Alessandria d’Egitto. Nessuna mercanzia europea viene considerata interessante, salvo il lino: i marinai riescono a piazzare molto bene alcune camicie in cambio di spezie. Anche qui i rapporti con il re si guastano, un po’ per i doni giudicati scadenti, un po’ per via degli Arabi che non gradiscono l’arrivo dei portoghesi. Lo zamorin (sovrano) fa arrestare i marinai e si convince a lasciarli andare solo trattenendo qualche ostaggio.
29 agosto 1498. Le navi di Vasco di Gama lasciano Calicut. La traversata dell’Oceano Indiano che all’andata aveva richiesto una ventina di giorni, ora, a causa dei venti contrari, dura alcuni mesi. Lo scorbuto uccide una trentina di marinai e una volta raggiunta Malindi, il comandante fa bruciare una della navi per completare gli equipaggi delle due navi superstiti. Siamo a febbraio quando le navi riprendono il mare, il 20 marzo doppiano Capo di Buona Speranza, a luglio raggiungono le Azzorre, dove muove Paulo da Gama. Il 9 settembre 1499, dopo oltre 24 mila miglia di mare, Vasco da Gama, rientra da trionfatore a Lisbona.
Il ritorno e il nuovo viaggio.
Tornato in patria, riceve dal re Manuele I la nomina di Ammiraglio dell’Oceano Indiano, con relativa gratifica e concessione del feudo di Sines, ma ha poco tempo per riposarsi. Il 10 febbraio 1502 ricomincia con una spedizione di una ventina di navi, una flotta importante per posizionare degli avamposti portoghesi sulle terre esplorate e rafforzare la potenza marittima del Portogallo. Si fermano a Sofala, in Mozambico, obbligando il sovrano locale a versare un contributo, poi giungono a Kilwa, in Tanzania attivando una rotta commerciale. Nel frattempo a Vasco da Gama giunge la notizie dell’attacco subito dalla spedizione guidata da Pedro Alvares Cabral a Calicut. A quel punto riprende il mare e al largo della costa del Malabar attacca le imbarcazioni dei mercanti arabi, quindi sfrutta le rivalità locali e si accorda con il re di Kannur, una città a 100 chilometri da Calicut. Qui appena giunto, non ottenendo dal sovrano quanto richiesto, ordina di bombardare la città. Durante il viaggio di ritorno stipula un trattato a Cochin l’attuale Kochi e riempie le stive di spezie. Tornerà ancora una volta in India, nel 1524 per morire a Cochin a causa della malaria.
FELICE PRESTA