Coronavirus, tragedie e farse
La soglia psicologica è stata superata, con l’ormai solita enfasi mediatico-sensazionalistica. Pure la pazienza è andata a farsi benedire. Il covid 19 avrebbe fatto più vittime della Seconda Guerra Mondiale. Solo che l’avrebbe fatto in dieci mesi e non in cinque anni. Più dei deserti africani, più delle bombe anglo-americane e del durissimo inverno sul fronte russo o sopra i monti della Grecia.
La storia è un contenitore di parallelismi, ma servirebbe più affidabilità nella narrazione e meno confronti con tragedie terribili che la nostra generazione per fortuna non ha conosciuto.
C’è purtroppo una costante in questo Paese che fatica a diventare nazione, nonostante i desideri dei padri del Risorgimento: l’Italia è arrivata ai grandi appuntamenti della Storia, quasi sempre impreparata, con classi dirigenti non all’altezza degli eventi e una struttura statale fragile. Oggi come ieri, la guerra al coronavirus come proiezione delle guerre combattute e quasi mai vinte.
Nella tragedia l’Italia è sempre capace di metterci un tocco di farsa. Ad arrivare impreparati di fronte all’impatto della pandemia è stato mezzo mondo ma, quello che è successo in Italia era difficilmente applicabile in qualsiasi nazione occidentale.
Proclami, rassicurazioni, prediche paternalistiche, scenari ottimistici, quadri apocalittici, una sequenza interminabile di decreti e l’utilizzo di strumenti legislativi con continue correzioni di rotta. Siamo passati dall’andrà tutto bene al non andrà troppo bene, fino al chiudiamo tutto e apriamo tutto. Contraddizioni di ogni tipo e territori gestiti come signorie, con protagonismi di ogni specie. Divisi alla meta, indecisi su tutto, secondo tradizione.
Giusto per non farci mancare niente: comitati che spuntano come funghi, più per coprire magagne e responsabilità, esperti di ogni risma sempre in televisione fino alla definitiva affermazione di ogni teoria scientifica. Il potere mediatico pronto a fare da grancassa propagandistica, a spettacolarizzare fino all’inverosimile ogni sofferenza, ogni opinione. Immagini e storie di vivi e morti, impaginati e visibili ad ogni ora, descritti con l’apoteosi del dettaglio, fino all’anestesia totale del segno e dei significati. Il pensiero critico spento o addomesticato dalla falsa contrapposizione tra due idiozie fanatiche, quella dell’allarmismo fanatico e quello della negazione irreale. Jean Braudillard nel 2003, scrisse “Power Inferno” con riferimento all’attentato delle Torri Gemelle e alle forme di terrorismo simbolico. Qui ed ora siamo allo spettacolo della malattia, ad uso e consumo del cittadino-lettore-spettatore con la ripetizione compulsiva del clic. La realtà viene sospesa e accantonata a seconda del messaggio politico da far passare.
Il nemico virus richiede quelle qualità che forse storicamente difettano all’Italia smarrita e impaurita, fragile in tutte le componenti sanitarie, economiche e sociali, che sembra applicare il fatalismo cosciente alla realtà.
Nella partita col covid-19 ci sono calciatori di primo livello e mediocri spacciati per fuoriclasse e troppa tifoseria velleitaria osannante o irridente, a seconda di dove soffia il vento delle rivalità.
Nella mancanza di coraggio, di scelte mirate anche se impopolari, nel gioco dei divieti e delle concessioni disegnati con la tavolozza dei tre colori, giallo, arancione e rosso, vince proprio l’ultimo, quello della vergogna di chi guida una nazione che ha esaurito orgoglio e sopportazione in primavera, quando era stato chiesto uno sforzo enorme in cambio della fine di qualcosa che nessuno poteva né promettere né assicurare.