Talleyrand e l’affare di Benevento
Charles Maurice de Talleyrand Perigord (1754-1838) è una figura controversa che esercita fascino e repulsione, su cui si continua a discutere senza formulare un giudizio definitivo. Uno dei suoi biografi, Jean Orieux, lo definisce “una sfinge incompresa”.
Enigmatico, mellifluo, astuto, esperto dell’intrigo politico. “Poiché aveva ricevuto molto disprezzo, se n’era impregnato e l’aveva messo nei due angoli pendenti della sua bocca”. Questa affermazione è di Francois René de Chateaubriand, uno che odiava Talleyrand e in Memorie dell’Oltretomba lo descrive senza celare questo disprezzo, peraltro ricambiato.
Il 5 giugno 1806, Napoleone con un decreto nomina Talleyrand principe sovrano del Ducato di Benevento, in precedenza dominio della Santa Sede. Otto anni dopo, il 20 aprile 1814, l’Imperatore è costretto ad abdicare e viene spedito in esilio all’isola d’Elba, sfaldando tutto il suo sistema di potere. Il trattato di pace di Parigi del 30 maggio seguente, tra la Francia e le potenze alleate vittoriose, mise fine legalmente ai principati e ai ducati, fuori dai confini dell’ex impero francese.
La città di Benevento dal mese di gennaio era occupata dalle truppe francesi di Gioacchino Murat, cognato di Napoleone e ancora sul trono di Napoli grazie all’alleanza con l’Austria siglata con il cancelliere Metternich.
Benevento non apparteneva legalmente a Talleyrand eppure, in quei mesi convulsi, con una furbizia sbalorditiva, attraverso una serie di manovre politiche, si farà indennizzare per la perdita dell’ex ducato.
A informarci è lo stesso Chateaubriand: “Il signor Talleyrand riteneva di aver diritto a una sovvenzione in cambio del suo ducato di Benevento: vendeva la livrea lasciando il suo padrone. Nel momento in cui la Francia perdeva tanto, non avrebbe potuto perdere qualcosa anche il signor Talleyrand?”
E aggiunge sentenzioso: “Quando il sig. Talleyrand non cospira, fa dei traffici”. Chateaubriand aveva ragione.
L’affare di Benevento dimostra l’abilità di Talleyrand a uscire indenne dalle situazioni più ingarbugliate, ottenendo sempre il massimo vantaggio. Il destino dell’ex ducato pontificio si decise in un periodo compreso tra settembre 1814 e il giugno 1815, a conclusione del congresso di Vienna. Sono molti a reclamare il possesso della città che tra patrimonio demaniale, dazi doganali e rendite agricole, garantisce una cospicua rendita finanziaria. Talleyrand è da sempre convinto che le migliori trattative sono quelle che si protraggono a lungo, lo ripete spesso, “vedete, io non mi sono mai affrettato e tuttavia sono sempre arrivato in tempo”. Come consuetudine decide di giocare la partita su più tavoli.
La prima mossa la fa Murat, il cognato di Napoleone spera di rafforzare la propria posizione ingraziandosi Talleyrand con un’offerta per riscattare Benevento che le truppe francesi occupano da qualche mese. Murat è sotto pressione: Napoleone è fuori gioco, dalla Sicilia il vecchio Ferdinando reclama il trono di Napoli e l’alleanza con l’Austria non è poi tanto solida.
Talleyrand è convinto della precarietà di Murat, rifiuta la somma offertagli di cui non conosciamo l’entità e prende tempo anche per favorire la Francia e il suo re Luigi XVIII. C’è tutto l’interesse a sloggiare Murat da Napoli e favorire il ritorno dei Borbone senza irritare troppo gli austriaci. Ancora una volta, affari diplomatici e privati si mescolano abilmente, il tempo gioca a suo favore.
Le manovre intorno al Ducato di Benevento riprendono nel mese di marzo del 1815. Il temporaneo ritorno sulla scena di Napoleone per l’ultima fase della sua avventura politica, non sconvolgono più di tanto i piani di Talleyrand. Anzi, la fortuna lo assiste, perché Murat travolto dalla sconfitta di Napoleone perde tutto: la vita e il regno. Ora il principe può giocarsi la città di Benevento sia con il delegato pontificio, il cardinale Consalvi, sia con i rappresentanti di Re Ferdinando.
Consalvi che Talleyrand in un primo momento aveva trattato con molto riguardo, adesso si sente maltrattato. Il motivo è semplice, il francese sostenuto da Metternich non vuole che lo Stato pontificio si ingrandisca troppo e il Papa, oltre a Benevento e Pontecorvo, vorrebbe riprendersi tutta la legazione della Romagna, chiedendo a Talleyrand di intercedere in tal senso a Vienna.
Il netto rifiuto del francese, al limite della scortesia e, le successive mosse politiche, terrorizzano Consalvi tanto che decide di cedere su tutto, persino su Benevento. All’inizio di maggio egli è convinto che il Ducato sia il prezzo che i diplomatici del Congresso di Vienna sono disposti a pagare per il ritorno di Ferdinando sul trono di Napoli.
Più preoccupato è il principe Ruffo, diplomatico di Ferdinando, che ha promesso Benevento a Talleyrand, ma non è sicuro di riuscirci. A quel punto il francese tira fuori dal mazzo un’altra carta, quella del matrimonio. Convince il re di Francia Luigi XVIII a far sposare suo nipote, il duca Charles Ferdinand de Berry con la nipote di Ferdinando, Maria Carolina. Il vantaggio è reciproco perché entrambi hanno una discendenza diretta con il Re Sole, Luigi XIV, e questo rafforzerebbe la presa dei Borbone sull’asse Napoli-Parigi.
Il più allarmato di tutti è il povero Consalvi che di fatto si ritrova senza niente e non ha più possibilità di spuntare qualcosa. L’ultima speranza, l’esprime in una lettera al cardinale Pacca il 9 maggio 1815, dove auspica che il re di Napoli restituisca Benevento al Papato “per la sua massima gloria”, in cambio di un indennizzo a Talleyrand.
Le trattative vanno avanti per settimane, fino a quando si trova una soluzione. L’articolo 103 dell’atto finale del congresso di Vienna, il 4 giugno 1815, dispone il ritorno di Benevento e Pontecorvo alla Santa Sede. Ovviamente i dettagli più sostanziosi, sono contenuti nelle clausole segrete dell’accordo.
In cambio della cessione di Benevento, Talleyrand chiedeva sei milioni di franchi, somma ridotta poi a due. Il conto salato dovevano accollarselo il re Ferdinando per 1,5 milioni e Pio VII per i restanti 500mila. Si trattava del valore venale del Ducato nel 1807.
Quel che più scandaloso, non è tanto il pagamento di un indennizzo giuridicamente non dovuto, ma il fatto che Talleyrand riceverà fino alla sua morte, nel 1838, la rendita del Ducato.
Il trucco per incassare denaro da un titolo che non possedeva più, lo escogita insieme al cardinale Ruffo, che poi ricompenserà nel suo testamento.
Re Ferdinando conferiva a Talleyrand il titolo di duca di Dino, un isolotto nel mar tirreno vicino alla costa calabrese. La rendita di Benevento, 13600 ducati, pari a 56mila franchi, era accredita nelle casse del re di Napoli e poi girata come rendita a Talleyrand in virtù del suo nuovo titolo di duca.
Facciamo due conti: fino al 1838 Benevento ha fatto incassare al francese 2 milioni di indennizzo, più 1,230 di reddito, più 120mila di aggio. In totale fanno 3350 milioni di franchi, più di 13 milioni di euro attuali. Benevento si era rivelato uno dei migliori affari di Talleyrand il più abile dei dissimulatori, più spregiudicato di un finanziere di Wall Street.
Non a caso, qualche anno prima, dopo un litigio, Napoleone lo aveva insultato: “siete una merda in calze da seta!”.