Altro-Oltre-Altrove
“…La loro normalità è follia
la loro follia è pregiudizio
il loro pregiudizio è mancanza d’ amore.”
Semplici i versi scritti da L.I. in una delle sue tante composizioni poetiche, frutto di un disagio che la attanaglia e chiede riscatto, da troppo tempo! Come riscatto chiedono tutti coloro identificati dalla moderna società come diversi o malati e che invece si trovano solo ad interpretare un ruolo imposto da un regista sconosciuto, ma esigente.
Un regista che ha preteso che alcuni di noi recitassero la parte di “malati”, quel ruolo così difficile da interpretare, che tutti rifiutiamo, ma che qualcuno deve pur interpretare nella performance della quotidianità.
E dunque cosa nasconde questa parte, quali sono i disagi che si trova a vivere chi è costretto a indossare quei panni che forse non vorrebbe, quegli stessi che proprio la vita gli ha imposto? Difficile dare una risposta, soprattutto quando si recita nel ruolo della normalità! Normalità/Diversità quasi a dire Comico/Tragico, i due volti del Teatro.
In sintesi, palcoscenico della vita/palcoscenico del teatro e per semplificare possiamo dire vita/palcoscenico! C’è chi della propria vita ne ha fatto un palcoscenico, chi del teatro ha fatto la propria vita, ma c’è anche chi ha scelto di portare la propria vita sul palcoscenico, come gli utenti del centro diurno “La girandola” – UOSM di Airola, che hanno presentato lo Spettacolo “Altro Oltre Altrove”, andato in scena sabato 20 Giugno, a chiusura del laboratorio di Teatro-Terapia curato dall’Associazione culturale Blond, che da Dicembre ha intrapreso questo non facile, ma affascinante, percorso lavorativo.
Ambientato nel “sotto il mare – bar”, come richiamo all’ opera scritta da Stefano Benni “Il bar sotto il mare” appunto, da cui sono stati tratti diversi momenti portati in scena, alternati ad altri brani o poesie, appositamente scelti, lo spettacolo ha visto come protagonisti tutti gli utenti del centro diurno, quegli “stravaganti avventori”, che hanno dato vita alle performances, raggiungendo intensi livelli di interpretazione.
Non è stato facile giungere fino a questo punto, così come non è stata facile o casuale la scelta dei testi portati in scena. Lo spettacolo ha rappresentato il momento finale e “visibile” di un lavoro che ha visto i pazienti affrontare, giorno dopo giorno, una sfida dietro l’ altra, e come in un normale laboratorio teatrale i ragazzi hanno messo in gioco sé stessi, lavorato su sé stessi e provato a mettersi in comunicazione con quella parte di sé più difficile da raggiungere, le emozioni!
Il lavoro teatrale ha portato all’attuazione di processi di conoscenza personale attraverso cui conoscersi e ri-conoscersi, mettendosi in connessione con quella parte dell’ IO che anche lo psicotico più grave possiede. Il teatro ha dunque offerto loro un “luogo-non luogo”, un luogo catartico e uno spazio vuoto per eccellenza in cui poter lavorare sulle proprie emozioni, sulla conoscenza del proprio corpo e della relazione corpo-mente-emozioni, tra reale e immaginario.
Il momento teatrale come luogo o scatola in cui far convogliare tutte le negatività che attanagliano le singole personalità e singole vite per far brillare, attraverso la funzione catartica, quegli elementi di positività che tutti possediamo e che troppo spesso la società e la vita costringono a tenere nascoste. Il teatro quale lo strumento attraverso cui, persone ai margini della società, hanno provato a gridare la loro normalità di contro alla dilagante indifferenza.
Si, perché è più facile e comodo individuare un soggetto come ‘diverso’, piuttosto che provare ad ampliare il nostro bagaglio di umanità e provare ad interagire con chi diverso non è, ma ha solo un universo inesploso dentro sé.
Anthonyla Bosco