I furbetti della prescrizione
Nell’udienza del 5 febbraio il collegio giudicante del Tribunale di Benevento, nell’ambito del processo “Mani sulla città”, ha comunicato che alla fine del dibattimento, pronuncerà l’intervenuta prescrizione per alcuni reati attribuiti al sindaco Pepe e all’ex assessore Damiano. I reati prescritti sono quelli di concussione e corruzione elettorale, mentre il processo prosegue per le accuse di corruzione, truffa e falso.
La prescrizione equivale a una condanna sostanziale e per questo l’imputato può rinunciarci, se vuole dimostrare a tutti i costi la propria innocenza, perché altrimenti accetta implicitamente la veridicità dei fatti accertati nel corso delle indagini.
È opportuno capire che senso ha la prescrizione e che cosa provoca davvero. Così come è concepita è una specie di punizione per lo Stato, per il “sistema-giustizia” che non riesce a compiere il suo dovere – cioè condannare chi non rispetta la legge – in un tempo ragionevole.
Nella sostanza, provoca l’estinzione del reato ma non significa che il reato non è stato commesso e più in generale che gli elementi emersi nel corso delle indagini non siano stati accertati: se così fosse non ci sarebbe niente da cancellare.
Vuol dire, al contrario, nonostante i documenti e le prove che il giudice ha davanti a sé, essendo trascorso troppo tempo, quel magistrato non può andare avanti nel giudizio: deve arrendersi a sua maestà il tempo che gli ordina di fermarsi perché il reato, nell’attesa, si è cancellato.
Nel momento in cui ci si rende conto che è “scaduto il tempo”, se le prove sono insufficienti a far sospettare che il reato sia stato commesso, il giudice è obbligato a emettere una sentenza di assoluzione e non di prescrizione. Per questo motivo l’imputato può rinunciare alla prescrizione e chiedere di portare a termine il processo se è convinto che il processo dimostrerà la sua innocenza anche se, in quel momento, le carte dicono che è colpevole. C’è una ragione pratica per la quale è garantito all’imputato il diritto a rinunciare alla prescrizione: visto che non si tratta di un’assoluzione, la sentenza di prescrizione mantiene l’obbligo per l’imputato di risarcire chi è stato danneggiato dal reato, a patto che si sia costituito parte civile. Insomma: il processo si chiude con una prescrizione ma l’ex imputato, proprio come se fosse stato condannato, deve risarcire la parte civile.
Pepe e Damiano non hanno manifestato nessuno volontà di rifiutare la prescrizione, hanno semplicemente sfruttato la singolarità del sistema italiano dove essa decorre anche a processo avviato, consentendo agli avvocati difensori le solite tattiche “dilatorie” per allungare i tempi. Restano in piedi tutti gli elementi di colpevolezza, gli episodi di corruzione ci sono stati con ragionevole certezza.
Felice Presta