MONOGRAFIE: Arturo Bocchini il “viceduce”
Arturo Bocchini, il “viceduce”
Un celebre personaggio legato alla nostra terra, finito nella damnatio memoriae per essere stato il “numero 2” del regime fascista, fu senz’altro Arturo Bocchini.
Egli nacque a S. Giorgio La Montagna (l’odierna S.Giorgio del Sannio), il 12 febbraio 1880 da una famiglia nobile locale. Il padre Ciriaco, proprietario terriero, era un notabile ed esercitava la professione di medico, mentre la madre, Concetta Padiglione, proveniva da una famiglia della piccola nobiltà napoletana; Arturo era l’ultimo di otto figli. La famiglia Bocchini, tra le più illustri del paese, viveva nella parte più alta e antica, situata sul colle detto “dei Marzani”.
Dopo gli anni giovanili trascorsi nell’agiatezza e nella riservatezza familiare, ottenne la maturità classica a Benevento, e successivamente si iscrisse all’università, presso la facoltà di Giurisprudenza della “Federico II” di Napoli, dove si laureò il 22 luglio 1902. Tornato in paese dopo aver terminato gli studi, decise di fare carriera nel Ministero dell’Interno; infatti dopo un anno divenne consigliere di Prefettura, ottenendo incarichi presso le province di Perugia, Firenze, Rovigo, Brescia e Messina. Nel 1914 fu trasferito a Roma, dove divenne capo sezione della Polizia di Stato. Negli anni romani, ebbe l’occasione di conoscere da vicino politici importanti ed altri personaggi molto influenti; tra l’altro fece parte della delegazione che accompagnò l’allora primo ministro Vittorio Emanuele Orlando alla Conferenza di Versailles del 1919, all’indomani del primo conflitto mondiale.
Con la fine dell’Italia liberale, e l’ascesa al potere di Benito Mussolini il 28 ottobre 1922 in seguito alla “Marcia su Roma”, Bocchini, da buon burocrate, rimase piuttosto nell’ombra, aspettando i successivi sviluppi.
Nel frattempo, il 30 dicembre di quello stesso anno fu nominato prefetto di Brescia, dove conobbe Augusto Turati, il futuro segretario del PNF (Partito Nazionale Fascista); in quel periodo, visto anche il tranquillo consolidarsi del potere di Mussolini, aderì ufficialmente al fascismo.
Il 16 dicembre 1923 divenne prefetto di Bologna, una città tradizionalmente socialista e di sinistra, dove però i gruppi fascisti erano ben coordinati da Leandro Arpinati, ex militante anarchico. Egli però nutriva disprezzo e odio verso Bocchini, in quanto quest’ultimo era contrario alle incursioni squadriste, e cercò di contrastare in ogni modo la sua attività. Nonostante questi problemi, poté contare sulla stima dell’emiliano Dino Grandi.
Il 12 ottobre 1925 fu trasferito a Genova, altra città notoriamente di sinistra, dove Bocchini si distinse nel contrasto alla lotta contro i sindacati marittimi e gli stessi gruppi fascisti squadristi, ed ebbe il massimo sostegno dell’allora ministro dell’Interno Luigi Federzoni.
La massima stima del capo del Viminale e l’efficienza mostrata nelle “città rosse”, convinsero Mussolini il 13 settembre 1926 a nominarlo al vertice supremo della Polizia, al posto di Francesco Crispo Moncada, accusato di non aver saputo prevenire ben tre attentati contro il Duce avvenuti tutti nel giro di un anno. Don Arturo accumulò così un potere enorme, fiero nel difendere le prerogative dello Stato contro le ingerenze del Partito, tanto da essere soprannominato il “viceduce”. Con l’ennesimo attentato alla vita di Mussolini, stavolta ad opera del giovanissmo anarchico bolognese Anteo Zamboni, avvenuto il 31 ottobre 1926, Bocchini decise di costituire un’imponente squadra composta da ben 500 uomini, che avrebbe dovuto provvedere alla sicurezza del Duce; ne facevano parte poliziotti, carabinieri e gendarmi dell’MVSN (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale). Successivamente furono creati gli “Ispettorati Speciali”, i primi nuclei della polizia segreta che avrebbero dato vita all’OVRA.
Tornava sempre più sporadicamente a S. Giorgio, al massimo due o tre volte all’anno, giusto per rilassarsi dalle fatiche lavorative; ossessionato dal mito della sicurezza, chiamò la sua villa Securitas, una splendida residenza che comprendeva anche una piscina, che attualmente,dopo molti anni di abbandono, è stata acquistata dal Comune, ed è diventata pubblica. Le sue grandi passioni erano la buona tavola, le belle donne (non si era ancora sposato) e stare in compagnia. I compaesani, soprattutto quelli più poveri, aspettavano con ansia i rientri del loro celebre conterraneo, in quanto egli spesso distribuiva loro soldi con larga generosità. Nel 1929, stanco di essere etichettato come “montanaro”, dal nome del paese natio, chiese ed ottenne dal governo di far mutare la denominazione del suo luogo d’origine in San Giorgio del Sannio.
Convinto di dover rafforzare ulteriormente la difesa dello Stato fascista, in primis dai nemici esterni e poi da quelli interni, Bocchini istituì nel 1930 l’OVRA, la famigerata polizia segreta del regime. L’origine di questa sigla è tuttora avvolta nel mistero: è stato osservato che il termine avesse avuto una voluta assonanza con “piovra”, o con “Ochrana”, la polizia segreta della Russia zarista; per alcuni si tratterebbe di un’errata trascrizione, per altri invece, sarebbe l’acronimo di “Organizzazione di Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo”, o qualcosa di simile. L’OVRA era formata da una capillare rete di informatori dispiegata sia in Italia che all’estero, ed era ispirata alla Čeka sovietica.
I rari soggiorni a S. Giorgio del Sannio erano stati per un paio di volte occasione di due importanti visite ufficiali: furono ospitati nel 1932 presso Villa Securitas il Principe di Piemonte Umberto di Savoia, e nel 1938 il suo omologo tedesco Heinrich Himmler, il capo delle SS, il quale nutriva una profonda stima verso Bocchini, tanto da definirlo il suo “maestro”(anche se il sangiorgese non ricambiava totalmente, e soprattutto era alieno dal fanatismo del comandante nazista). Nel 1937 la villa avrebbe dovuto ospitare Benito Mussolini, ma un inatteso imprevisto impedì la visita.
Arturo Bocchini morì il 20 novembre 1940 a Roma, poco dopo lo scoppio della guerra (verso la quale aveva nutrito parecchi dubbi, ma si mantenne comunque fedele al Duce). Le cause della morte sembrano essere state dovute agli eccessi dello stress e della vita gaudente che conduceva. Accettò di sposare in articulo mortis la signorina Maria Gabriella De Lieto Vollaro (di molti anni più giovane di lui); inoltre morì da buon cristiano ottenendo la benedizione di un vescovo che lo assistette in quei momenti drammatici. La sua agonia durò per ben due giorni. I medici che lo avevano seguito dichiararono che il decesso era stato causato da un ictus cerebrale. Per la verità sulla morte sono state fatte alcune insinuazioni: membri della sua famiglia, anche a distanza di anni, non hanno escluso che fosse stato avvelenato per ordine di alcuni gerarchi contrari alla sua condotta moderata; qualcuno invece ha addirittura pensato che fosse stato ucciso dagli antifascisti. In realtà l’ipotesi dell’avvelenamento non ha mai avuto alcuna prova o riscontro.
I funerali si tennero a Roma il 22 novembre; tra i partecipanti, anche i nazisti Himmler e Reinhard Heydrich. La salma fu successivamente trasportata nel paese natio per i secondi funerali che furono celebrati due giorni dopo nella Chiesa Madre di S. Giorgio Martire.
Il Capo della Polizia lasciò un testamento in cui richiese espressamente che sia la casa paterna che lo chalet di Villa Securitas fossero in futuro adibiti a luoghi di studio e formazione, ma l’incuria degli uomini ha puntualmente disatteso questa volontà.
Il suo corpo riposa nella cappella di famiglia del cimitero dei Marzani a S.Giorgio del Sannio, nei pressi della chiesa dedicata a S. Rocco; sulla sua lapide c’è scritto:“Ad Arturo Bocchini, Cav. Dell’Ordine di Savoia, Senatore del Regno, Capo della Polizia/ In tempi difficili e duri fece tutto il bene ed il minor male possibile.”.
Francesco Pio Meola