La città e la sua “deformazione” urbana
Santa Sofia |
L’urbanistica associata a buone pratiche di costruzione è il presupposto per riscattare una città impoverita e senza più un’identità definita, a patto che si definisca un modello di “rigore culturale” per il recupero di tutti i luoghi del vivere urbano, dal centro più antico fino alle periferie più degradate. Si può cambiare la città solo con la complicità dell’intelligenza?
L’espansione, o forse sarebbe meglio parlare di esplosione delle città non può avvenire senza regole. L’Italia offre esempi positivi, ma anche una moltitudine di soluzioni negative e purtroppo siamo all’avanguardia per abusivismo edilizio e pessima architettura. Mentre il CCCB (acronimo misterioso di Centre de Cultura Contemporanìa de Barcelona), è un modello da imitare, la nostra Benevento è un esempio di percorso da non intraprendere, di come l’intelligenza urbanistica si sostituisca con l’idiozia speculativa: consumo di suolo, progetti di cementificazione insensati che servono al consenso elettorale e non alla cittadinanza. Un modo di agire redditizio per i politici irresponsabili, le società private e tutto quel sottobosco di affaristi-consulenti che fanno da contorno.
L’architetto e urbanista spagnolo Oriol Bohigas, afferma che ci sono tre condizioni per invertire la rotta, per modificare il profilo della città ed eventualmente porre le basi per un miglioramento del vivere comunitario e delle condizioni economiche.
Polifunzionalità, ovvero spazi, quartieri, piazze, strade o altro non possono essere classificati solo in base delle loro presunte destinazioni; compattezza, ovvero nessuna divisione, fisica o pratica è ammessa; leggibilità ovvero ogni luogo deve essere immediatamente comprensibile da chi ci vive.
Insomma nessuno dovrebbe più avere il bisogno di chiedersi: che ci faccio qui? La città del futuro non è sicuramente quella delle zone residenziali o delle periferie utilizzate solo come dormitori, non è la ghettizzazione o il vivere isolati in mezzo ad una miriade di case e palazzi.
Una piccola città come Benevento non ha problemi di densità di popolazione, ma ormai ha assunto una forma inservibile per per la gente e priva del tutto di una reale organizzazione urbana. In Italia si è costruito troppo, oltre i bisogni o peggio al di là delle necessità della popolazione. Benevento non si sottrae a questa logica irresponsabile e irrispettosa che vede lo spazio urbano crescere solo su direttrici speculative, un “assembramento” che in una situazione di inaridimento economico provoca lo svuotamento progressivo della città.
Il sentimento più diffuso è il desiderio di lasciare una città che conserva ancora tratti di gradevole estetica, ma non offre opportunità rilevanti. E’ la classica tipologia di città che serve solo ai politicanti, agli speculatori e ai percettori di consulenze pubbliche.
Invece di semplificare, ricostruire e recuperare quello che c’è, si insiste con l’abuso dei cantieri. Il risultato? Ci sono troppi edifici inutili, ma non è solo un problema locale. L’Italia non rappresenta un buon esempio di democrazia architettonica, molte buone idee vengono bloccate, il peso delle soprintendenze spesso gestite da personaggi di secondo piano è eccessivo con un potere “di vita e di morte” sui progetti. Gli edifici storici soprattutto, non vengono mai visti come poli culturali vivi ma come qualcosa di immobile e intoccabile.
Altro problema che si riscontra pure a Benevento è la mancata definizione del “confine” della città, laddove è importante comunicare a chi ci vive dove inizia e dove finisce. Forse è il momento di favorire nuovi modelli di ricostruzione, senza ideologie o schemi rigidi, perché anche un eccesso di pianificazione può provocare danni. Il rapporto pessimo tra politica e architettura è in queste cose. La nostra città è densa di edifici ma svuotata e a tratti eterea, soffocata in alcune fasce orarie dalle auto e dalla mancanza di un trasporto urbano efficiente. Nelle metropoli la moltiplicazione inarrestabile di oggetti, informazioni e sollecitazioni fa avvertire quella sensazione che Gillo Dorfles ha definito con l’etichetta di “horror pleni” . A Benevento l’unico “pieno” è questo affastellamento di strutture che si svuotano e si riempiono ma dove non c’è vita. Le strutture urbane danno forma alla città e condizionano la mentalità di chi le vive. Sinceramente non so se i nostri amministratori ne sono consapevoli.
Vincenzo B.
1.fine prima parte