Note a margine della confessione di Carmine Schiavone. (Ci piacerebbe conoscere il resto della storia…)
Nell’ambiente dell’intelligence tutti sanno che quando un documento segreto viene reso pubblico, è perché ormai non è più pericoloso per nessuno e, anche se dovesse far rumore, questo prima o poi finirà. Il disvelamento dell’audizione del pentito di camorra Carmine Schiavone, riguardante le attività illecite connesse allo smaltimento dei rifiuti tossici in Campania, appartiene ormai alla storia. L’audizione in Commissione alla Camera dei Deputati è del 7 ottobre 1997 e sedici anni dopo, il territorio è stato avvelenato con grande perizia. Il documento ha un valore storico perché ricostruisce la genesi del grande affare dei rifiuti smaltiti illegalmente, racconta delle complicità della classe politica e di molti dipendenti delle amministrazioni pubbliche, fa una serie di nomi e chiarisce anche i rapporti con le altre organizzazioni criminali, calabresi e siciliane che a loro volta hanno sotterrato materiale tossico nelle loro terre. Nel testo è citata più volta la Provincia di Benevento. senza indicare siti precisi dove furono interrati i fusti, ma solo all’interno del discorso riguardante le specifiche zone di competenza dei vari clan camorristici. Così leggiamo a pagina 17: “Nel 1988 furono suddivise le zone: il clan dei Casalesi arrivava fino alla provincia di Benevento, mentre Carmine Alfieri, con Mario Fabbroncino e Pasquale Galasso, si allargavano alla zona vesuviana, sia pure sempre collegati con noi (…)”.
Il nome della nostra città ritorna sempre sulle domande riguardanti la delimitazione dei territori da gestire: “(…) parliamo della provincia di Caserta, di una parte del beneventano, arrivando fino a Giugliano” (p.18). Ancora viene indicato il territorio sannita a pagina 20 sempre riguardo alle aree da controllare: “Tutto il Matese, fino alla zona di Benevento” (…).
Ultima segnalazione a pagina 25: (…) “Fino al 1991-inizio 1992 a noi scaricavano tra la zona di Latina fino a Benevento. Avevamo ancora le cave di sabbia, parecchie delle quali erano in via di esaurimento, che potevano ancora essere riempite (…)”.
Sedici anni dopo cosa dobbiamo pensare? Vorremmo conoscere il prosieguo della storia, quella degli anni Duemila e delle emergenze “costruite”, trasformate in un business redditizio per la camorra e per i suoi fiancheggiatori. Restiamo diffidenti nei confronti dell’atteggiamento dello Stato che avrebbe dovuto avere una reazione più energica proprio nel periodo in cui Schiavone metteva tutti in guardia. Il danno ambientale era già stato provocato, ma si poteva evitarne il peggioramento. Si è continuato a scaricare mentre il ceto politico si arrabattava e tergiversava.
Chi ha amministrato per un decennio la Campania non può restare impassibile, Bassolino e il suo drappello di manigoldi prezzolati non possono nascondersi dietro le sentenze favorevoli dei Tribunali. Le responsabilità politiche sono innegabili.